DYLAN DOG #347

Se ad abbandonarci sono le buone storie


«Peggio di Tra moglie e marito
Questa è stata l’esclamazione del sottoscritto alla fine della lettura de Gli abbandonati, ultimo albo della serie regolare di Dylan Dog a firma della super coppia Paola BarbatoGiampiero Casertano.
Dispiace tanto ma è così.
[Quanto segue può contenere piccoli spoiler e pareri espliciti, siete avvisati!]



Troppo spesso noi Audaci abbiamo abdicato al severo officio di recensire opere che non ci hanno entusiasmato. Stavolta invece non ci facciamo indietro. Forse questo è l’albo non solo più brutto mai scritto dalla Barbato ma anche uno dei più insignificanti albi di Dylan Dog di tutti i tempi. E pensare che si contende la palma con capolavori come Giovani vampiri e Tra moglie e marito, appunto (citando storie scritte da altri autori), ma anche Il settimo girone, Il crollo e Il giardino delle illusioni (ricordando tre tra le opere dell’autrice di thriller edita da Rizzoli). Ancora una volta il povero inquilino – anzi!, dal numero scorso si può parlare di proprietario dell’appartamento – di Craven Road 7 si ritrova, grazie alla penna e alla mente indefesse della Barbato, intrappolato, come sospeso, in un asfissiante non–luogo. Stavolta è una casa stregata in un paese stregato, Wynbring, la scorsa era tra le macerie dopo un crollo (la prossima dove sarà? Forse un negozio di toilette per animali di piccola taglia?).



 
A indagare con l’old boy ritroviamo l’ex ispettore Bloch che non perde occasione per ribadirci (e che palle!) che in pensione sta benissimo e che non gli manca il suo lavoro (magari il governo del nostro Paese mandasse in pensione tanti poveretti stanchi e permettesse ai giovani di prendere il loro posto: un lato positivo della cosa sarebbe che questi ultimi avrebbero meno tempo libero da dedicare a scrivere e leggere recensioni brutte come questa e leggere fumetti come questo!).

A molti magari non sembrerà così, ma anche questa storia, come quella del mese scorso (che abbiamo recensito qui), può essere interpretata come un esperimento metanarrativo (sob! Sigh!). Ci sarà sicuramente qualcosa di relativo al fatto che Dylan e Bloch erano rimasti immobili prima dell’arrivo di Recchioni e che ora, grazie a questo nuovo e miracoloso piano editoriale (fase zero, uno, due, tre…STELLA!), si stanno muovendo e liberando dalle sabbie mobili nelle quali erano rimasti intrappolati. Su quest'interpretazione metanarrativa, c'è da dire che alcuni Audaci dissentono: ad esempio l'amichevole Sommo mi ha confidato che uno dei motivi per cui questa storia non l'ha convinto è che qui lui non è riuscito assolutamente ad intravedere un significato che andasse oltre quello testuale. Piccole discrepanze audaci, insomma (del resto, il mondo è bello perché è vario!).

Tornando all'albo e alla sua trama, qui è davvero tutto troppo male assortito: il caso, l’indagine, l’azione e soprattutto il movente di tutta la storia (il fatto che abbiano costruito un aeroporto vicino a una città e che gli abitanti se ne siano andati ha provocato l’emergere di una presenza non umana bisognosa di compagnia umana!?). Senza contare il finale, degno dei peggiori momenti orchestrati da Gualdoni.
Insopportabile, inoltre, l’uso che la Barbato fa della fobia di Dylan di salire sui tetti, delle vertigini e della relativa nevrosi: ogni volta l’indagatore dell’incubo si arrampica sui tetti, neanche fosse Zagor, ma continua a dirsi di non guardare giù…


Il manifesto della riedizione di Intrigo internazionale di Alfred Hichcock
a cui si è dichiaratamente ispirato Angelo Stano per la cover di quest'albo.

Tra le poche trovate degne di nota, la presenza e il ruolo di Jenkins – sempre più rimbambito ma sempre meno simpatico (Sclavi, dove sei!?) – che aiuta Bloch e Dylan telefonicamente (cioè da lontano, al sicuro: scoprite voi in che modo balordo Dylan si salva, se lo capite!) a risolvere la situazione. Oltre a questo, il fatto che non ci sono spiegoni: alleluia! Niente spiegoni perché non c’è nulla da spiegare! Non si capisce nulla di quello che è accaduto e accade perché non viene spiegato nulla! Si capisce solo quello che continua ad accadere: una breve serie di tavole finali, di un’inutilità pantagruelica, che mostrano come il problema dell’entità affamata di compagnia persista come prima, più di prima, e come l’intervento di Dylan non sia servito a nient’altro che a far uscire di galera il fratello della sua cliente.

E che dire delle tavole del povero Casertano?!? Neanche lui – e la cosa è di una gravità assoluta – riesce a risollevare la situazione. La sua prova è anni luce lontana da quella maiuscola, perfetta, che avevamo celebrato nella storia, sempre della Barbato, Il boia di Parigi, il n. 1 della collana de Le Storie. Davvero notevoli solo un paio di primi piani (quelli che ritraggono Dylan appena entrato nel limbo). Sono troppi invece i disegni non degni della fama e del talento di uno degli autori più validi e giustamente più amati della serie. La sequenza, alquanto tirata via, dei volti di Bloch e Dylan in macchina (prima che Dylan venga risucchiato da non si sa bene cosa) è davvero da dimenticare.

Un flop colossale.
Alla prossima. Ma non così.




RolandoVeloci


"Gli abbandonati"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 347
DATA: luglio 2015
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Paola Barbato
DISEGNI E CHINE: Giampiero Casertano

COPERTINA: Angelo Stano

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