Zerocalcare: raccontare Kobane

Il viaggio dell'autore di Rebibbia tra le realtà belliche del Mediterraneo




Domani approda in libreria per Bao Publishing Kobane Calling di Zerocalcare, volume che, oltre a raccogliere i due reportage già pubblicati lo scorso anno su Internazionale (l'omonimo Kobane Calling e Ferro & Piume), presenta tavole inedite del diario di viaggio alla scoperta di un popolo sotto assedio e della sua battaglia per la libertà.
In occasione dell'uscita del libro riproponiamo l'articolo scritto, col cuore in mano, dopo aver letto oltre un anno fa il primo di questi reportage di Michele "Zerocalcare" Rech.



Tempo fa, Zerocalcare è andato a Kobane, sul confine turco-siriano, luogo simbolo della resistenza all’Isis. Ne è venuto fuori un reportage di 42 pagine pubblicato sul numero di Internazionale del 16 gennaio 2015, Kobane Calling, in cui Zerocalcare risponde al richiamo di raccontare il confine, un luogo sotto assedio, a pochi passi da una realtà dove la gente si spara e bombarda. Una storia molto più difficile da esporre rispetto a quelle ambientate nella sua camera con l'usuale Armadillo (che pure qui appare, fugacemente). Ma l’autore, nonostante giochi fuori casa, non si lascia intimorire e affronta la sfida con il proprio insostituibile stile.

Michele "Zerocalcare" Rech si era recato nella città curda insieme alla Staffetta Romana per Kobane, gruppo di persone provenienti da Centri Sociali che si occupa sia di garantire aiuti umanitari che di diffondere l’informazione riguardo ciò che accade a Kobane.

L’inizio della storia è deflagrante: Zerocalcare viene erudito riguardo i rumori onomatopeici che fanno le bombe. E non sono solo quelle dell'Isis ad illuminare il cielo: anche quelle americane e quelle della resistenza curda (vedi anche il video di presentazione della storia). Una situazione complessa che l'autore romano è costretto a spiegare facendo l' "erudito": con autoironia Zerocalcare si mostra con gli occhiali da professorone e suggerisce di "skippare" il "pippone" introduttivo se troppo pesante! Ci racconta del Rojava, striscia di terra popolata di curdi che provano a vivere pacificamente, nel bel mezzo del Medio Oriente. Ci racconta della terribile avanzata dell'Isis, di un conflitto quasi per niente messo in luce dai media italiani (nonostante in questi giorni, tragicamente, il terrorismo sia la prima notizia di tutti i telegiornali).


Zerocalcare afferma più volte il proprio intento di voler offrire un’ottica non parziale, non rappresentando unicamente la resistenza (eroica) del popolo curdo di Kobane, ma quantomeno provando a comprendere cosa si nasconda dietro i loro avversari (l’Isis). Tale intento però, in maniera alquanto genuina, va a scontrarsi con la realtà dei fatti: nonostante l'autore provi ad immaginarseli come i punk cattivi di Ken il Guerriero, purtroppo i responsabili di stupri, decapitazioni, esecuzioni a cadenza settimanale non paiono affatto giustificabili da alcuna motivazione al mondo e, purtroppo, non sono frutto dell'immaginazione. Sono lì, reali ed incatalogabili, eppure impalpabili, invisibili (“Se ne stanno lì rintanati. A rimanere ombre nella mia testa”). La rappresentazione dei terroristi come ombre nere rimane una delle operazioni fumettistiche più efficaci realizzate da Zerocalcare in questa storia.

Il percorso in cui ci guida poi è inevitabilmente un viaggio personale, con il verosimile scopo di ritrovare (anche) se stesso. Il suo successo stratosferico è evidente ormai a tutti, non solo a chi sia sopravvissuto alle file chilometriche a Lucca allo stand della Bao per ottenere una sua dedica su Dimentica il mio nome (o a chi, parimenti, abbia partecipato o anche solo avuto notizia delle sue interminabili session di autografi in giro per l'Italia, durate ore e ore, tanto da entrare nel guinness dei primati): era chiaro l'intento di non voler trascurare nessuno dei lettori che si erano recati lì per lui, di non voler chiudere nessuna fila né escludere nessuno. Era altrettanto chiaro, però, che un autore di trentun anni, di tale talento e profondità, partito realizzando manifesti e incontri nei Centri Sociali, avesse la necessità di trovare uno sbocco che gli permettesse di non passare tutta la vita a fare disegni sui libroni cartonati (per quanto anche questo, per carità, faccia parte del suo mestiere e lui non si sia mai tirato indietro).
E dato che Zerocalcare si rende conto benissimo della propria responsabilità di autore di successo, ha cercato di guidare verso nuove strade anche i propri lettori, alcuni dei quali magari non si sarebbero mai interessati fino in fondo ad argomenti come il terrorismo o la resistenza curda. Forse questo aspetto, tra le tante cose meravigliose, rende ancora più speciale Kobane Calling.
Impossibile poi non citare tutto quello che fa sentire Zerocalcare così vicino a chi lo legge, tanto da andare ben oltre l'identificazione. Quando comunica ai propri genitori l'intenzione di partire, paragonandolo a quando doveva dir loro di esser stato sospeso a scuola. Oppure, quando ammette la propria parziale ignoranza su argomenti socio-politici, tanto che, quando una delle leader del campo a Kobane cerca di spiegarle la reale portata degli eventi, l'autore rappresenta se stesso come l'umile rana dei Muppets, con tutto il senso di inadeguatezza che ne consegue. In questo, la sua "ingenuità" nell'affrontare le cose lo rende una sorta di novello Guy Delisle, autore canadese di bellissime graphic novel come Cronache birmanePyongyang e Cronache di Gerusalemme (il paragone è di Valentino Sergi, su Lo Spazio Bianco). Entrambi non vanno nei luoghi come dei giornalisti scafati o lungimiranti studiosi; si buttano nelle situazioni, desiderosi di conoscere e far conoscere. Ebbene, anche questo è il fumetto.
Perciò, rubando la metafora del pixel allo stesso Zerocalcare, il nostro cuore sgranato è dalla parte di chi resiste, di chi lotta per ciò che ritiene giusto nonostante "la sproporzione di armi e mezzi"; ma anche dalla parte di chi sa farci viaggiare restando a casa, sa farci ridere, emozionare e rendere conto un po' di più del mondo in cui viviamo.
Thank you.

Il Sommo Audace






Le due copertine del volume Bao (per quella regular i colori sono di Alberto Madrigal)





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