DYLAN DOG #361 - Mater Dolorosa

La recrudescenza, il dolore e il sanguinamento



"Credo che per fare qualcosa di rilevante con il personaggio di Sclavi ci sia la necessità che qualcuno sanguini. Non è importante che a farlo sia lo sceneggiatore, il disegnatore o il personaggio, è importante che almeno una di queste tre figure soffra sul serio, che si esponga, che si prenda i suoi rischi, che si faccia male." 
Roberto Recchioni (Mater Morbi - ed. Bao)




"Sei disposto a sanguinare, Dylan?"Mater Morbi, incarnazione di tutte le malattie, pone questa domanda a un bambino in camicia rossa, un giovanissimo Indagatore dell'incubo.
È una questione ben più profonda dell’essere pronti a versare qualche goccia di sangue: rappresenta un patto implicito tra il personaggio, lo sceneggiatore e il lettore, suggerendoci che per avventurarsi in storie così bisogna essere disposti a soffrire, a guardarsi dentro, non le si può leggere a cuor leggero. È forse questo uno dei segreti che animano da sempre alcuni degli episodi migliori scritti da Tiziano Sclavi: permettere ai lettori di provare qualcosa di più di una “semplice” avventura lunga 94 tavole, fargli vivere qualcosa di intenso, vivo, viscerale.


Una doverosa premessa sui richiami alle storie precedenti

Mater Dolorosa, Dylan Dog #361, è l'albo con cui si festeggiano ufficialmente i trent'anni dall’esordio in edicola dell'Indagatore dell'incubo. Come già accaduto in vari altri numeri celebrativi di Dylan Dog, oltre ad essere interamente a colori, la storia racconta un pezzo della biografia del protagonista*. Gli autori sono Roberto Recchioni e Gigi Cavenago: il primo è ormai da tre anni il curatore della testata, il secondo è l’attuale copertinista del quadrimestrale Maxi Dylan Dog Old Boy (e sui suoi disegni ci soffermeremo ampiamente a seguire).
Mater Dolorosa riprende concetti (e alcune scene) da La storia di Dylan Dog, albo numero cento della serie regolare** in cui Tiziano Sclavi svelò vari dettagli del passato dell’Indagatore dell’incubo, spiegando la sua passione per il galeone, la genesi del siero della vita eterna e il legame indelebile con Morgana e Xabaras. Questi ultimi sono due personaggi affascinanti, presenze ricorrenti nei primi anni della serie: se per Xabaras era nota da tempo la parentela con Dylan Dog, proprio in quell’albo si scoprì che Morgana era la madre di Dylan Dog. Insieme a tanti altri riferimenti, c’è almeno un’ulteriore opera fondamentale per il personaggio che viene rievocata in Dylan Dog #361, a partire dal titolo e dalla composizione della copertina di Angelo Stano. Si tratta di Mater Morbi, uno tra gli episodi più riusciti dell'ultimo decennio, sempre sceneggiato da Recchioni per i (magnifici) disegni di Massimo Carnevale, storia profonda e in parte autobiografica sul modo di affrontare la malattia (che all’epoca della pubblicazione fece discutere molto anche perché toccava temi di grande attualità come l’eutanasia).



Il dolore e i tanti modi di affrontarlo

Sulla scia di questi due dichiarati richiami, la storia procede alternandosi tra due binari temporali: il passato e il presente. Nel passato il piccolo Dylan è in viaggio sul galeone con Xabaras e Morgana, mentre nel presente l’Indagatore dell’incubo vive la sua indefinita routine. In entrambe le epoche Dylan si ammala, dunque è costretto a (re)incontrare Mater Morbi e confrontarsi con un avversario decisamente poco tangibile: il dolore. Proprio quest'ultimo è tra le componenti chiave dell’intera storia, insieme alle conseguenze che gli eventi dolorosi stessi comportano e al modo che ognuno ha di affrontarli. Dolore e malattia sono spesso entità inseparabili: ecco perché Mater Morbi pretende di saperla lunga sulla natura del dolore e di poterlo insegnare al piccolo Dylan. Le si contrappone però la figura di Morgana, simbolo estremizzato dell’amore materno. L'affetto incondizionato di una madre è una forza che, quando troppo soffocante, può impedire al figlio di crescere.
Inevitabile lo scontro tra queste due forze, fondamentalmente uguali e contrapposte: lo stimolo a rimanere nell’abbraccio protettivo materno viene contrastato dalla malattia, che al contrario costringe a crescere sin troppo in fretta. È forse anche per questo che nelle scene finali il Dylan bambino si esprime come un piccolo filosofo esistenzialista: la malattia l’ha spinto a fare i conti con le difficoltà della vita.



Gli elementi del nuovo corso e la biografia di Dylan

Mater Dolorosa ha un piglio decadente e moderno, che emerge soprattutto nella piega corrosiva e morbosa che assumono gli eventi. Nello sceneggiare questo episodio, Roberto Recchioni è partito da un presupposto complesso: inserire all'interno della biografia del personaggio alcuni elementi recenti (come i personaggi di Mater MorbiJohn Ghost, ma anche una certa idea di continuità narrativa tra le storie). A questo presupposto corrispondevano le diverse esigenze legate a un albo celebrativo, che doveva essere in grado al contempo di accogliere in un ambiente familiare e riconoscibile i lettori della prima ora smarriti per strada, magari amanti unicamente delle storie di Tiziano Sclavi, ma anche comunicare quella ventata di aria fresca di cui i lettori del "nuovo corso" avvertono l'esigenza. Uno dei meriti principali dello sceneggiatore romano consiste proprio nell'essere riuscito a districarsi in questo equilibrio problematico, riprendendo vari personaggi che hanno caratterizzato la storia di Dylan Dog e ponendoli sotto una luce inedita, arricchendo quanto già noto con ulteriori chiavi di lettura, senza far sembrare tutto artefatto, posticcio, anzi rendendo questo connubio solido e convincente. 
Non siamo dunque di fronte a un “riassunto degli episodi precedenti”. La riproposizione di alcune scene non risulta ridondante, ma giustificata dall'essere inserita in un contesto e in una narrazione avvincenti. E non deve stupire se gli elementi più recenti appartengono alla mitologia moderna del personaggio a cui ha lavorato lo stesso Recchioni: Mater Morbi e John Ghost non sono lì per caso...



Leggi alla voce “metafumetto”

"Bisognava cambiare, dare una scossa, iniziare un nuovo corso!", afferma John Ghost a metà albo. È come se a parlare per bocca del personaggio fosse lo stesso Recchioni, intento a ripeterci quali sono state le istanze che l’hanno condotto a cercare di infondere nuova linfa alla testata. Questo è uno dei momenti della storia in cui fa capolino maggiormente l’idea di una rilettura in chiave metafumettistica. L’ipotesi dell’identificazione tra lo stesso sceneggiatore romano e la più recente nemesi dell’Indagatore dell’incubo è suffragata del resto da alcuni dati di fatto: non è un caso se John Ghost sia apparso sinora esclusivamente in albi sceneggiati proprio da Recchioni, così come non è una coincidenza se il personaggio alcune pagine dopo dichiari di dover “vegliare” sull’Indagatore dell’incubo, proprio come un curatore editoriale fa con una serie a fumetti. Il ruolo svolto da Ghost appare sempre più quello di fare da collante tra le varie storie del “nuovo corso”, una sorta di deus ex machina di una continuity blanda ma presente. Dylan torna a Moonlight (la cittadina de Il lungo addio) ma la trova cambiata, prossima a diventare sede di un casinò. È un po’ come un lettore che riprende a leggere la serie e ritrova qualcosa di diverso, come ogni volta che ognuno di noi prova a ripercorrere le vie dei ricordi: impossibile trovarle immutate, il tempo non perdona.
Proseguendo con le similitudini, potremmo arrivare addirittura ad avanzare delle similitudini tra le madri (Mater Morbi è la nuova Morgana?) e le nemesi (John Ghost è il nuovo Xabaras?), ma nonostante la tesi abbia un certo fascino per ora ci fermiamo qui.

L’aspetto davvero ammaliante, già pienamente evidente in Spazio Profondo, è quanto le stesse tavole funzionino alla perfezione sia se inquadrate nell’ottica metafumettistica che prese a se stanti. La voce fuori campo a pagina 22, ad esempio, in cui Dylan riflette sul modo di interiorizzare la malattia, è un condensato di pensieri che starebbero bene anche fuori da ogni contesto: parole universali, intense, sincere.




L’incontenibile bellezza dell’estro

Dulcis in fundo, se questa storia riesce a toccare corde sopite dei nostri animi è anche grazie alla bellezza fuori dal comune delle novantaquattro tavole che la compongono. Gigi Cavenago riprende magistralmente le lezioni dei grandi artisti che l'hanno preceduto sulla serie, da Angelo Stano a Massimo Carnevale, facendole proprie e rielaborandole con il suo estro. Con Mater Dolorosa dimostra non soltanto una rara padronanza del mezzo comunicativo, ma anche la capacità di plasmarlo alle esigenze della narrazione, ricordandoci quanto possano essere futili le classificazioni a cui sovente ci rivolgiamo per catalogare un fumetto (e sull’abbattimento di ogni sorta di recinzioni ricordiamo, per chi si fosse sintonizzato solo ora su queste frequenze, che Tiziano Sclavi con Dylan Dog aveva fatto scuola, lavorando affinché il “fumetto popolare” fosse definitivamente considerato una forma espressiva del tutto dignitosa). Il risultato raggiunto da Cavenago è ancor più sbalorditivo se consideriamo che quest’albo rappresenta il suo esordio assoluto sulla serie regolare e come abbiamo evidenziato qui è il primo disegnatore in assoluto a esordire su Dylan Dog direttamente con un albo celebrativo. E non solo a lui non sono tremati i polsi nel farlo, ma è riuscito a farli tremare al sottoscritto nello scrivere queste righe, sicuro che difficilmente riusciranno a restituirvi la bellezza di queste tavole, pronte per essere ristampate in un'edizione cartonata di lusso e di formato più grande.





Elemento non trascurabile risiede nel fatto che lo stesso Cavenago si sia occupato anche della colorazione. I colori, che virano con inusuale efficacia da un intenso rosso/arancione a un freddo blu/nero, sono capaci non solo di accompagnare la narrazione e dar corpo alle matite, ma anche di costituire parte integrante e imprescindibile del racconto. Del resto, impossibile non ricordare l’unica altra volta in cui l’artista di Senago si era occupato sia dei disegni che dei colori: la memorabile sequenza finale dell’undicesimo numero di Orfani (Tutti giù per terra) sempre in coppia con Recchioni, in cui rappresentava in maniera drammatica le lacrime di sangue di una dei protagonisti, il suo viaggio verso l’albero delle pene (!) e il tormento eterno. È anche avvalendosi dell’elemento cromatico che l’artista riesce a dar vita a una tale sequenza ininterrotta di tavole a dir poco straordinarie, veri e propri dipinti (che ci riportano alla mente la - nemmeno troppo esagerata – definizione di "Cavenaggio", tirata fuori dal suo collega Matteo De Longis). Potremmo accostare questo lavoro di Cavenago non solo a quello dell’evocativo illustratore Ferenc Pinter, più volte tirato in ballo parlando delle sue influenze, ma anche al gusto compositivo di Gustav Klimt, che emerge in uno dei passaggi più belli della storia: l’abbraccio materno tra Morgana e il piccolo Dylan seguito, nella pagina successiva, da un’identica posa che raffigura Mater Morbi e l’Indagatore dell’incubo adulto. I colori dorati, la composizione dei tessuti delle lenzuola e il raffinato erotismo riportano alla mente opere come Danae (quadro di Klimt del 1907-1908).

Danae, di Gustav Klimt (1907-1908), olio su tela.

In chiusura, un consiglio: non leggete questa storia solo una volta per comprenderla fino in fondo. Leggetela una prima volta per assaporarne la superficie, una seconda volta per rimanere sgomenti di fronte alla bellezza infinita dei disegni (riduttivo chiamarli “disegni” e basta). Alla terza lettura non vi resterà che coglierne tutti i più piccoli e preziosi particolari. E lasciarvi sanguinare (per dirla alla Rolling Stones, Let it bleed).
È un classico istantaneo, non rischiate di aspettare trent’anni per capire quanto a lungo vi rimarrà dentro.

Il sommo audace



"Mater Dolorosa"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 361
DATA: settembre 2016
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Roberto Recchioni
DISEGNI E COLORI: Gigi Cavenago
COPERTINA: Angelo Stano










* Gli altri numeri celebrativi in cui si narrano frammenti del passato di Dylan Dog sono: Dylan Dog # 100 (La storia di Dylan Dog, non a caso citato più volte in Mater Dolorosa), #121 (Finché morte non vi separi), #200 (Il numero duecento), #241 (Xabaras!), #242 (In nome del padre), #300 (Ritratto di famiglia).
Albi a colori a parte, le tappe fondamentali della biografia dell’Indagatore dell’incubo sono rintracciabili anche in: Dylan Dog #1 (L'alba dei morti viventi), #7 (La zona del crepuscolo), #25 (Morgana), #43 (Storia di nessuno), #74 (Il lungo addio) e #151 (Il lago nel cielo).


** Il numero 100 rappresentò anche un’incursione nei territori del fantasy (cosa che spiazzò diversi lettori), in cui Sclavi provava a rispondere ad alcuni quesiti ricorrenti dei lettori e a formulare un ipotetico finale per le gesta dell’inquilino di Craven Road (che sarebbe tornato puntualmente in edicola il mese dopo con il numero 101).

Tutte le immagini © 2016 Sergio Bonelli Editore.

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