Dylan Dog #375 - Nel mistero

Oltre il caos, il silenzio 





Nel mistero segna il ritorno della coppia formata da Tiziano Sclavi e Angelo Stano. Sarebbe ridondante stare a ripercorrere l'importanza di questo sodalizio artistico per il fumetto italiano, a partire dallo storico L'alba dei morti viventi, recentemente ristampato nella collana Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi e sul quale ci siamo soffermati qui.


C'è tutto un discorso sulle aspettative che andrebbe posto come premessa alla lettura. È giusto aspettarsi che il nuovo albo di Sclavi sia all'altezza di Memorie dall'invisibile o di Storia di nessuno? Oppure è quanto meno doveroso considerare l'evoluzione artistica e il passare del tempo, non solo come scusa per rendere tutto più banale e scontato, ma anche come tentativo di contestualizzazione storica e inquadramento nell'evoluzione artistica dell'autore?

In tal senso non sembrano aiutare particolarmente né l'edizione cartonata presentata con un mese circa d'anticipo a Lucca né la scelta di pubblicare l'albo a colori e mettere bene in evidenza "Scritto da Tiziano Sclavi" in copertina. Per quanto queste idee commercialmente daranno il loro riscontro, generano in automatico la pretesa di leggere una storia indimenticabile, alzando il livello delle aspettative fino a renderle difficilmente appagabili.

Ma nonostante ciò Sclavi è riuscito in qualcosa di concretamente arduo: riuscire a essere innovativo e al tempo stesso classico ed è stato in grado, nel giro di un anno, di pubblicare una sua nuova storia dopo lo straziante Dopo un lungo silenzio che a noi Audaci era parso il suo de profundis più sentito e perfetto.


Questo Nel mistero ha, anche solo per la potenza del dettato autoriale (Sclavi e Stano insieme sono il non plus ultra), una profondità ontologica e una portata leopardianamente cosmica tali che riuscirà a segnare la storia della serie come una delle storie più riuscite degli ultimi vent'anni. 

Il lettore attento e affezionato, in attesa di una nuova pagina dal Libro dell'Inquietudine di Sclavi, riuscirà a trovare elementi simbolici dai quali sorseggiare l'assenzio dell'amaro calice della fine fino a mettere piede nel regno del mistero che ci attende dopo la morte.

Ma ci teniamo a scriverlo senza timore: questa non è una storia sulla fine del mondo. Non c'è catastrofismo, non ci sono né voluttà né autocompiacimento della Rivelazione finale: è una storia sclaviana nel vero senso delle cose. Un'apocalisse tutta umana, totalmente immanente, senza dèi, in cui l'unica apertura nella maglia di filo spinato dell'esistenza è proprio la consapevolezza della fine, che arriva per tutti e presto o tardi arriverà per la vita stessa sul nostro pianeta.

Dylan non indaga su nessuno caso perché il mistero, cui si fa cenno nel titolo, è quello che per definizione non può essere indagato: almeno non senza poi speculare erroneamente o creare illusioni di entità superiori da collocare al di sopra e dentro di noi (che è la stessa cosa). 
E queste larve di sogno non interessavano Scavi ieri, oggi lo lasciano del tutto indifferente. 

Cerchiamo tutti un motivo per allontanare quel senso di nulla, il vuoto che può inghiottirci da un momento all'altro. C'è chi prova a fuggire, chi rinunicia, chi trova rifugio dell'ironia (vedi la teoria sulla morte e gli universi paralleli enunciata da Groucho, mutuata da Mauro Marcheselli).



Nel mistero è un'opera dell'ultimo Sclavi. Quello del nichilismo assoluto, dell'intransigente e ostentata mancanza di speranza.

Chiarito questo punto diciamo che la vera protagonista è lei, la Morte. E con lei ritornano le ballate in versi - dall'incedere meno pavesiano del solito, quasi franto, senz'altro meno musicale - che da Attraverso lo specchio hanno caratterizzato le storie dylaniate più intense. E da un altro classico riproposto di recente - Gli uccisori - viene il nome del sicario che dispensa death and gore: Todd (morte in tedesco) è esteticamente davvero molto simile alla recente nemesi John Ghost nonché a John, il marito di Sybil nel primissimo numero di Dylan Dog (non a caso in tutti e tre i casi c'è lo zampino di Angelo Stano).

Sebbene l'inizio e la fine (prima dell'epilogo delle ultime tre pagine) possano sembrare quasi "convenzionali" e in parte piene di scene e situazioni che sanno di già visto, Sclavi riveste tutto con una patina diversa. 

Le sue filastrocche, come anticipato poco sopra, sono ancora più oscure, la sua poetica più estrema, al punto da provocare a tratti nel lettore persino un rifiuto... 

Piacerebbe, infatti, rifugiarsi nell'idea che questa storia non rappresenti nulla di sensazionale, se non un'ordinaria esposizione di follia, morte e disperazione a firma sclaviana. Invece l'ideatore di Dylan Dog, sotto un plot lineare e una subliminale sensazione di deja-vu, nasconde un costante senso di annullamento, di impotenza, di tragicità, che rende inattuabile qualsiasi via di fuga.



In Nel mistero non c'è solo il senso di profonda desolazione che accompagna Dylan e Sclavi, ma anche un sentire tragico che caratterizza Nemo, il barbone-veggente che avvisa Dylan delle sciagure a venire, salvandogli la vita diverse volte. Nemo, inutile dirlo, è Nessuno in latino e, infatti, quest'uomo è solo un altro Signor Nessuno incontrato da Dylan nel suo peregrinare per le strade della vita. E i riferimenti proprio a Storia di nessuno (leggendario albo n. 43, sempre a firma Sclavi-Stano), al barbone e al Signor nessuno sono parte integrante di questa Storia di nessuno pt. II, solo che in questo caso dopo la morte non c'è il minimo accenno alla rinascita.
Nemo, non è dato sapere né come né perché, sente gli eventi e vede quello che deve capitare anche se non ne sa il perché: l'uomo che si lega al cosmo per mezzo del vaticinio ma questo dono (o castigo) - nell'ottica sclaviana attuale - non serve a evitare che il nero della fine ricopra ogni cosa e la vita venga distrutta.

Per una storia così non poteva esserci altro interprete grafico che Angelo Stano. Da sempre punto di riferimento imprescindibile per ogni lettore e disegnatore di Dylan Dog, le sue tavole incarnano alla perfezione il senso del nichilismo sclaviano, nei volti, negli sguardi, in ogni scelta stilistica. Neppure la spettacolare doppia splash page o le scene presenti nelle tavole finali distolgono lo sguardo dall'umana desolazione che permea la storia.
La colorazione di Giovanna Niro, tecnicamente ineccepibile, mai invadente. La colorista è una delle più talentuosa della sua generazione, non a caso indicata nell'introduzione dell'albo come "il futuro" della serie. La presenza del colore si configura in tal senso come un'aggiunta esteticamente efficace che conferma la regola implicita che almeno un albo all'anno della serie regolare (ora per un motivo, ora per un altro) venga pubblicato a colori.






Un albo indimenticabile. 
Le imperfezioni del passato sono levigate dall'esperienza e dalla tecnica ma l'incisività è quella dei giorni migliori, anzi, è più disarmante e poeticamente intensa.
Un autentico capolavoro sulla fine, sul suo perché e su ciò che segue il buio post esplosione.

Una delle cose migliori rimane la copertina di Gigi Cavenago per quest'edizione. L'illustrazione rende in maniera impagabile il concetto di scomparire, diventare impalpabili, mimetizzarsi con il nulla. 
Diventare il nulla. 
Noi non sappiamo dove finisce Dylan e inizia il cielo stellato. 
Ed è giusto così. 
Restiamo nel mistero.

Rolando Veloci & il Sommo



"Nel mistero"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 375
DATA: novembre 2017
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Tiziano Sclavi
DISEGNI E CHINE: Angelo Stano
COLORI: Giovanna Niro
COPERTINA: Gigi Cavenago








Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore.

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